Chiesa Cattedrale, 28 dicembre 2025

Omelia

Amatissime, amatissimi, Carissime, Carissimi tutti, popolo santo di Dio adunato per la Santa Sinassi, il Sacramento della carità e dell’unità che ci rende «fraternità misericordiosa»,

un anno fa – proprio in questo Tempio Madre della Chiesa palermitana – aprendo il Giubileo della speranza, voluto e indetto dall’indimenticabile Papa Francesco e portato avanti dall’amato Papa Leone XIV, nell’invitarvi a vivere con impegno la grazia dell’Anno Santo, lo tratteggiavo come tempo opportuno per «riattivare in ciascun battezzato, nelle nostre Comunità parrocchiali e Religiose e nelle nostre Aggregazioni laicali, la consapevolezza di quale amore il Padre, Dio, ci ha dato! Si tratta – affermavo ancora – di riattivare in noi l’amore del Padre per noi nel suo Figlio venuto nel mondo: «Et Verbum caro factum est et habitavit in nobis» (Gv 1,14)» (Omelia, 29 dicembre 2024).

Il Giubileo ritorna sempre per aiutarci a “ri-cor-dare” che siamo popolo di perdonati, di riconciliati, di graziati – ciascuno/a e insieme – per puro amore: «Voglio ricordare i benefici del Signore» (Is 63,7).

Questo “tempo propizio”, ci ha introdotti nell’«anno di grazia del Signore» (Lc 4,19) e ci ha inondati della misericordia di Dio. Mai come nell’Anno Giubilare la Chiesa riflette la sua vera identità che le deriva dall’essere popolo «visitato e redento» (Lc 1,68) dal Signore, inviato a proclamare in tutte le lingue, con l’idioma universale dell’amore, «le grandi opere di Dio» (At 2,11), i portenti del suo amore.

Nell’Anno Giubilare appare in tutta la sua bellezza che Dio ci ha rigenerati nel suo amore chiamandoci alla comunione con lui. Ed è il suo amore la forza compaginante, unificatrice e trainante della Chiesa. La koinonia d’amore della Chiesa sgorga dalla koinonia di Dio che «è Amore» (1Gv 4,8), relazione d’amore. Dio non è solitario, non è stasi ma estasi, è movimento, dinamica d’amore. Le persone divine, infatti, sono unite non per confondersi, ma per contenersi l’una nell’altra. Non esistono solo l’una con l’altra, ma l’una nell’altra. Giovanni Damasceno offre un termine greco che riassume questa visione: perichóresis, deriva dal greco da perì (intorno) e da chóreo (contenere, fare spazio, muoversi attorno) e significa letteralmente “movimento circolare” o “danza”. Per il Damasceno, le «ipostasi […] sono senza intervallo e mutuamente inseparabili poiché posseggono la pericoresi di una nell’altra senza confusione, non in modo da saldarsi e confondersi, ma possedendosi l’una con l’altra» (Expositio fidei 14,11-18). Pensiamo ad esempio al quadro La danza di Henri Matisse. Nella danza raffigurata vi è una comunione di persone che ballano in cerchio. Il movimento volontario e trascinante della danza le rende uno. La bellezza della danza scaturisce dal loro libero corrispondere al movimento e al ritmo della coreografia. Ciascuno si muove facendo spazio all’altro e, contemporaneamente, entrando nello spazio lasciato proprio a lui dall’altro. Presi e compresi nel dinamismo d’Amore, nella danza d’Amore della Trinità.

Come ci ricorda il Concilio la Chiesa è il «popolo adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (“de unitate Patris et Filii et Spiritus Sancti plebs adunata”» (LG 4; cfr S. Cipriano, De Orat. Dom. 23: PL 4, 553). “Ad-unati” nel e dal suo Amore traboccante. Non siamo radunati, come tante altre aggregazioni umane, ma adunati. Dunque condotti ad unità.

Un Giubileo, per la Chiesa, è memoria della sua chiamata alla comunione, del suo essere adunata – “resa una” – nell’amore dalla Trinità. Stasera, al termine dell’Anno Giubilare ci incontriamo sapendo che a tutti noi è stata usata pazienza e ci è stato dato il per-dono dei peccati. All’inizio di questa celebrazione abbiamo sentito le parole dell’Angelo della Chiesa (cfr Ap 2-3) che è in Palermo: «Per mezzo dell’indulgenza giubilare il Signore ha fatto fluire un fiume di grazia e di benedizione. A tutti ha donato la sua speranza e la sua pace, ha irrobustito le mani fiacche, a rinsaldato le ginocchia vacillanti, ha detto a ciascuno di noi: coraggio, non temere!».

Partecipi della fecondità dell’amore di Dio, resi partecipi della “danza d’Amore” della Trinità, siamo stati rigenerati dallo Spirito nella speranza e inviati in questo mondo amato da Dio come comunità della speranza. La speranza che viene dall’esperienza sacramentale dell’essere riconciliati e resi uno. Ricondotti ad unum, adunati dalla dispersione e dalla disgregazione del peccato, condotti dalla divisione alla comunione, dall’odio all’amore vicendevole. «In illo uno unum», ci ricorda Leone XIV. Immersi nella comunione Trinitaria, “con-presi” nel dinamismo d’Amore, nella “danza d’Amore” della Trinità. In questo anno Santo siamo approdati tutti – grazie alla zattera dei redenti che è la Chiesa –, «con gioia alle sorgenti della salvezza» (Is 12,3). Nell’Oceano dell’amore di Dio (che è Dio!). Dell’amore di Dio per noi.

Nell’Anno Giubilare la Chiesa Sposa, come vite feconda, ha radunato tutti i suoi figli e figlie nell’intimità della casa che ha edificato Cristo Signore, lo Sposo fedele e amorevole, che imbandisce premuroso la Mensa dell’amore e dell’unità (cfr Sal 127).

Il Giubileo ci ha “ri-cor-dato” che la Chiesa è dinamismo d’amore, riflesso della danza d’Amore della Trinità, famiglia, spazio dove ciascuno è rivestito «di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità», casa dei discepoli e delle discepole di Cristo dove «sopra tutte queste cose» si è rivestiti «della carità, che le unisce in modo perfetto» (Col 3,12-13).

Fra i tanti frutti di questo Giubileo della speranza vorrei proprio evidenziare questo: quello della comunione ecclesiale quale segno di speranza in un mondo sempre più diviso, in città sempre più predate dalla violenza e socialmente disgregate, in famiglie sempre più frantumate, in relazioni umane sempre più tradite dall’interesse personale e dall’indifferenza. La nostra Comunità diocesana, le nostre Comunità parrocchiali e religiose, le nostre Aggregazioni laicali, partecipando con fede alle tante iniziative giubilari – pellegrinaggi a Roma e nei diversi Santuari, la visita alle chiese giubilari della nostra Arcidiocesi, a cominciare da questa Cattedrale, – hanno vissuto un’esperienza di comunione e di rinnovata evangelizzazione. Ci siamo misurati tutti con il cuore dell’Evangelo, il fulcro della fede cristiana e della grazia dell’essere Chiesa di Cristo, testimone dell’amore di Dio per gli uomini e le donne dell’intera famiglia umana di ieri e di oggi. O nella Città di Pietro, Colui che presiede le Chiese nella carità – attraverso il passaggio delle Porte Sante delle quattro Basiliche romane – o in questa Cattedrale, o nelle chiese giubilari, siamo stati fortificati dalla Bella Notizia: «La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. Infatti, mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,5-6.8).

Nella pagina evangelica odierna scorgiamo un Dio che, come diceva David Maria Turoldo, vive «di noi. / Sei / La verità che non ragiona. / Un Dio che pena / Nel cuore dell’uomo». Il travaglio di questa famiglia, particolare in tutto – non solo perché ha accolto il Figlio che solo Dio ci poteva dare –, segnata dalle situazioni più estreme, soprattutto se consideriamo i vv. 16-18 non riportati dalla pericope liturgica, relativi alla strage degli infanti di Betlemme, inermi come tutti i bambini «dai due anni in giù» di tutte le città e i villaggi del mondo, di ieri e di oggi. Una famiglia di profughi che conosce la tragedia della migrazione, della condizione di rifugiati a motivo della violenza dei cinici potenti di turno e che deve anche affrontare la fatica del discernimento dove fare “anacoresi” (ἀνεχώρησεν), dove ritirarsi al rientro in Palestina per mettere casa, così da avere protezione e il necessario per vivere.

La nostra Chiesa con tutte le Chiese sparse nel mondo, in questo Anno Giubilare si è fatta adunare, ha sognato, ha danzato, unita dal suo Signore, ha seguito la via tracciata dallo Spirito perché si compisse la parola proferita e preferita da Dio: essere chiamati in Cristo, portarne il nome, essere anche noi Nazareni, avere i suoi stessi sentimenti e soprattutto le sue viscere d’amore. Essere testimoni d’amore, di unità, di comunione. Ricolmati nei cuori della pace di Cristo (cfr Col 3,15). Di questi cristiani ha bisogno la carne degli uomini e delle donne del territorio della nostra amata Arcidiocesi.

Termino con i versi di David Maria Turoldo: «Canta il sogno del mondo. Ama / saluta la gente / dona / perdona / ama ancora e saluta / (nessuno saluta / del condominio, / ma neppure per via). / Dai la mano / aiuta / comprendi / dimentica / e ricorda / solo il bene. / E del bene degli altri / godi e fai / godere. / Godi del nulla che hai / del poco che basta / giorno dopo giorno: / e pure quel poco / – se necessario – / dividi. / E vai, / vai leggero / dietro il vento / e il sole / e canta. / Vai di paese in paese / e saluta / saluta tutti / il nero, l’olivastro / e perfino il bianco. / Canta il sogno del mondo: / che tutti i paesi / si contendano / d’averti generato». Sia sempre con noi Maria Santissima Madre dell’Unità.