43° Anniversario della strage di Via Carini

Chiesa Cattedrale

3 settembre 2025

Omelia

Nel Libro del Profeta Ezechiele si legge un oracolo: «…mi fu rivolta questa parola del Signore: “Figlio dell’uomo, ti ho posto per sentinella alla casa d’Israele”» (3,16). S. Gregorio Magno, uno dei più grandi Padri nella storia della Chiesa e uno dei quattro dottori dell’Occidente, di cui il 3 settembre ricorre la memoria liturgica, così commenta: «La sentinella infatti sta sempre su un luogo elevato, per poter scorgere da lontano qualunque cosa stia per accadere. Chiunque è posto come sentinella del popolo deve stare in alto con la sua vita, per poter giovare con la sua preveggenza» (Omelie su Ezechiele, Lib. 1, 11, 4-6; CCL 142, 170-172).

Mi permettete una breve digressione sulla vita di Gregorio Magno. Era nato a Roma, intorno al 540, da una ricca famiglia che si distingueva non solo per le nobili origini, ma anche per la coerente pratica della fede cristiana. Ben presto entrò nella carriera amministrativa, sulle orme del padre, fino a divenire, nel 572, prefetto della città. Questo impegnativo servizio, reso oltremodo arduo dalla complessità dei tempi, gli consentì di misurarsi con ogni sorta di problemi amministrativi, esperienza che gli giovò non poco nel suo futuro compito di vescovo di Roma e, dunque, di papa. In particolare, assimilò un forte senso dell’ordine e della disciplina.

Una specularità di vita e una analogia di postura umana, tra il prefetto Gregorio e il prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa che segnano un solco anche per noi, oggi, una traccia di vita che va percorsa, da noi tutti, e in particolare da chi oggi è chiamato ‘in alto’ a servire ‘dal basso’ – immerso nella concreta vicenda umana e sociale – le Istituzioni preposte al bene di tutti, al bene di quella casa comune che deve edificarsi sui ‘trascendentali’ della vita sociale e politica delineata dai principi fondamentali della Carta costituzionale: il primato della persona umana, lo stato di diritto, la giustizia, la legalità, la solidarietà, il ripudio della guerra e la pace.

«Chiunque è posto come sentinella del popolo deve stare in alto con la sua vita, per poter giovare con la sua preveggenza». Stare in alto, ma con la vita. Non mirare solamente in alto, a occupare posti di rilievo per smania di protagonismo e avidità di potere, ma assumerli con intelligente «preveggenza» per il bene di tutti, mettendo in gioco la propria vita, «per poter giovare» ad altri, per essere autentiche e coerenti «sentinelle del popolo».

Oggi come ieri. Alla fine del V secolo come nel secondo decennio del XX secolo. Il Cardinale Martini, il 5 settembre 1982 a Milano, nell’Omelia della Messa esequiale di Carlo Alberto Dalla Chiesa e di Emanuela Setti Carraro – omelia meno nota rispetto a quella pronunciata qui a Palermo dal nostro venerato Card. Pappalardo, ma altrettanto energica e incisiva –, tra l’altro ebbe a dire: «C’era in Lui una sincera fede in Dio, non ostentata, ma radicata nell’animo. C’era una fiducia semplice nella forza della preghiera. C’era una forte passione per il dovere, con la certezza che il male può e deve essere vinto, che l’intelligenza dell’uomo è più forte della perfidia, che l’entusiasmo di pochi può trascinare al bene anche molti pigri e riottosi».

Ogni servitore dello Stato, a maggior ragione se motivato dalla fede cristiana, non ostentata come mera etichetta religiosa, non può esercitare il proprio mandato con questa logica che attinge dalle parole e dalla vita umana del Figlio di Dio fattosi carne, che patì e morì liberamente e per amore, fu sepolto ed è risorto dai morti: «“I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve. Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove”» (Lc 22,24-28). Servire. Il grembiule del servizio e non lo scettro del potere. «E la sua passione – proseguiva Martini – per il dovere era vissuta senza pose da eroe, con un fare semplice e schivo, quasi con humour. Ma nei grandi discorsi, quando si poneva il caso serio, emergeva il pathos oratorio, la forza persuasiva e polemica, la denuncia coraggiosa».

Noi oggi ci siamo radunati per fare memoria di Carlo Alberto, di Emanuela e di Domenico facendo memoria della Pasqua di Cristo. In Cristo, il Figlio di Dio Onnipotente – l’Unico Onnipotente –, fattosi debole; il Signore fattosi servo, vogliamo rendere loro onore. A loro che hanno seguito il Signore nella fedeltà; che per il nostro Paese, per la nostra Palermo, per noi tutti, non si sono tirati indietro di fronte al sacrificio e fino all’effusione del sangue. Ci siamo riuniti perché facendo memoria di loro possiamo imitarli in tutto.

Ma ci siamo riuniti anche perché vogliamo ribadire che «Su coloro che sono colpevoli di quanto è avvenuto, su tutti gli omicidi, i mandanti, i conniventi, i consenzienti, gli inerti, gli ignavi, gli ipocriti, grava la sentenza di condanna e di riprovazione» (C. M. Martini). Che su di essi – come anche su noi tutti – incombe il giudizio di Dio con cui il Cristo suo Figlio quando ritornerà nella gloria ci vaglierà: saremo giudicati sull’amore, sul dono della nostra vita per amore, se abbiamo amato soprattutto i più piccoli e poveri: affamati, malati, profughi, carcerati, oppressi… (cfr Mt 25,31-46). Su quanta salvezza e liberazione abbiamo seminato donando la nostra vita. Chi crede in Dio è umile. Perché sa di essere un servo di Dio e degli altri uomini e donne, creature come lui. Chi è umile ama, e per questo è grande. Chi non ama, anche se sta in alto, è misero. È tronfio, nulla. Chi ama la sua vita, ha detto Gesù, la perde; chi la perimetra nell’egoismo, la spreca, la perde (cfr Mt 16,24-27)!

Grazie Signore per questi testimoni di amore. Grazie Carlo Alberto, Emanuela e Domenico.