Sorelle e Fratelli, Amiche e Amici di Palermo,

oggi è il giorno della gioia e della speranza. Della gioia, perché festeggiamo la Santuzza, colei che nel 1625 ha liberato Palermo dalla peste e che continua ad assisterla e a proteggerla con la sua presenza silenziosa. Della speranza: ne abbiamo ‘disperato’ bisogno. Sì, perché è come se fossimo assediati dalla disperazione, come se la disperazione abitasse nelle nostre case, nella nostra vita. È la stessa disperazione dei Palermitani oppressi dalla peste in quei giorni del 1624. È la disperazione che portiamo stasera, a questa festa di Rosalia, 401 anni dopo, proprio nell’Anno Giubilare dedicato alla speranza. La stessa disperazione che il profeta cantava, tanti secoli prima di Cristo, equiparandola alla notte, a una notte infinita, dinanzi alla quale nessuna parola sembra possibile se non l’appello alla sentinella del mattino: «Sentinella, quanto resta della notte?» (Is 21, 11).

La notte della disperazione incombe. Non possiamo nascondercelo. E come si fa a non essere disperati in un momento così drammatico a livello mondiale? Siamo in preda alla guerra e alla follia. Perché dichiarare guerra è un atto di follia. L’ho detto e lo ripeto: si tratta di una sindrome di Alzheimer, di una forma patologica di smemoratezza del cuore. Infatti, chi dichiara guerra perde di vista i bambini, non sa ascoltare l’urlo del dolore, non è in grado di sintonizzarsi con la sofferenza infinita delle vittime. Solo i folli possono aumentare il dolore di un mondo segnato dalla sofferenza anche al di là della guerra. Solo i folli possono intraprendere la via del riarmo per ‘salvare’ il mondo. Papa Francesco lo sapeva e ha passato gli ultimi mesi della sua vita a gridare contro la corsa alle armi. Una corsa che arricchisce i mercanti di morte e che toglie risorse all’educazione, alla salute, al welfare, rendendo i popoli più poveri, più disagiati, più pervasi dalla rabbia. Paradossalmente, la corsa al riamo è un incentivo alla guerra, perché la miseria crea i presupposti della guerra. Genera risentimento, incentiva una mentalità conflittuale. Ricordiamoci le parole di Leone XIV: «La guerra non risolve i problemi, anzi li amplifica e produce ferite profonde nella storia dei popoli, che impiegano generazioni per rimarginarsi» (Angelus, 22 Giugno 2025). La guerra non può dare felicità a nessuno, è solo fonte di una sofferenza infinita. Basta guardare la desolazione di Gaza per rendersene conto. Si tratta di un aumento esponenziale del PIL del dolore, che cresce proporzionalmente a quello delle armi, dell’economia di guerra.

Ma anche la nostra Palermo arriva alla festa della sua Santuzza avvilita.

Avvilita perché è la Città del Governo e dell’Assemblea Regionale e dobbiamo ancora registrare che la politica non sembra prendersi cura delle vecchie e nuove ferite della nostra terra, ma, tra veli e maschere, tralascia i veri interessi pubblici a favore di interessi privati o di parte, di gruppi di potere.

Avvilita perché la Chiesa e la società civile – e dunque noi, e dunque io – non sappiamo promuovere e sostenere quei moti di riscossa dal basso che Palermo conosce, che si porta ancora dentro come una possibilità, ma che non riescono a generare insieme, in maniera corale, la novità tanto attesa.

Palermo è tormentata: la violenza dilaga per strada, di giorno e di notte, colpisce le nostre attività commerciali e le nostre case, le piazze e i vicoli della città vecchia. Basta pensare alla strage di Monreale, alla spedizione punitiva nei confronti della “Cioccolateria Lorenzo” e ai tentati stupri dei giorni scorsi. Una violenza che viene sempre più considerata un valore, anche da tanti giovani che non vedendo prospettive di futuro, abbandonati e delusi da noi adulti, in fuga da una realtà inospitale, attratti da falsi modelli di vita, diventano facile preda delle nuove perniciose e devastanti droghe diffuse massicciamente – pure tra gli adolescenti – da spacciatori-consumatori reclutati dalle organizzazioni mafiose che si stanno anche ricompattando come funeste multinazionali del profitto su questo florido e promettente mercato.

Ma Palermo soprattutto è prostrata da un senso diffuso di assuefazione e di rassegnazione a tutto questo degrado, che avvolge ognuno di noi, che travolge la Città. Soffre perché il disagio, specie nelle periferie urbane ed esistenziali, aumenta e il tessuto sociale pare sfaldarsi. Soffre perché è ancora appestata dai rifiuti, nonostante l’avvio della differenziata; per la crisi della sanità e la precarietà e insufficienza delle strutture ospedaliere; per il mancato diritto di tutti alla salute, per l’abbandono e l’emarginazione degli anziani e delle persone con disabilità, per il disagio dei detenuti nei nostri inadeguati e sovraffollati Istituti penitenziari.

Ecco, stasera Rosalia ci guarda, care Sorelle, cari Fratelli, e ci parla con le stesse parole del profeta Abacuc: «Guai a chi dice al legno: “Svegliati”, e alla pietra muta: “Alzati”. Ecco, è ricoperta d’oro e d’argento ma dentro non c’è soffio vitale» (2,19). Siamo vittime di un grande inganno, perché cerchiamo la vita lì dove essa non dimora. Vorremmo che il legno e la pietra – tutti gli idoli a cui ci inchiniamo – fossero per noi fonti di salvezza, sorgenti di vitalità. Ma è una mossa stolta, disperata. Rosalia ci dice: “Non lasciatevi abbagliare dagli idoli, non andate dietro a quel che brilla d’oro e d’argento, non lasciatevi sedurre dall’arroganza del potere”. La Santuzza grida: “Non seguiteli, non lasciatevi ingannare. Perché puoi essere anche il capo del mondo ma se sei vuoto dentro, non vale a nulla. Chi domina e si riveste d’oro e d’argento deve sempre correre lontano da sé stesso per mettere a tacere il cuore. Non sono i soldi ad appagarlo il cuore, non è il potere. Non è lì il segreto di una vita buona. Perché chiedete la felicità alle pietre, al legno, a tutti coloro che si ricoprono di oro e diamanti ma non si svegliano e non vi svegliano?”.

Care Palermitane, cari Palermitani, oggi Rosalia ci dice: “Non fatevi sedurre dallo stupido perverso potere che ostentano i mafiosi e i collusi, volgete invece il vostro sguardo verso chi ha vissuto l’umano con pienezza, a chi ha fatto spazio agli altri dentro di sé e ha trovato la gioia, ha trovato un senso”.

Noi li conosciamo: Ninni, Giovanni, Francesca, Paolo, Pino, Biagio…. Sono i testimoni della giustizia, della legalità, della fede e della carità che hanno versato il sangue per Palermo e per la Sicilia e quanti – tanti – che in questa città, senza clamore, sono capaci di fare la loro parte nella feriale coerenza e nella sobria bellezza.

Stasera, miei Cari e mie Care, siamo di fronte a un’alternativa di vita o di morte. Rosalia ci mette davanti a questo bivio. O ritroviamo la vitalità dentro di noi – che significa gioia di essere accanto agli altri, gioia di costruire assieme, gioia di accogliere e di lasciarsi accogliere –, [o ritroviamo la vitalità] ascoltando l’appello del nostro cuore, ovvero siamo destinati a un’esistenza cupa, infelice, sempre bisognosa di possesso, di controllo, di ossequio e riconoscimento forzato da parte di chi ci sta attorno. Rosalia ci grida: “Svegliatevi! Non restate passivi spettatori di un disastro. Non arrendetevi alla disperazione. Il bene è possibile, la vita buona è possibile”. La Santuzza ci addita stasera l’esempio meraviglioso di Papa Francesco. È lui l’uomo che ha scelto la parte del cuore. Colui che ha scelto la verità dell’ascolto profondo di sé e degli altri. E ha fatto risplendere nel mondo una luce diversa. Un fiume di persone, di poveri, di sconsolati sono andati a ringraziarlo il giorno dell’Eucaristia di suffragio… che meraviglia! Il bene, quello vero, ritorna! Nemmeno i potenti della terra hanno potuto sottrarsi a rendere omaggio all’autorevolezza di Papa Francesco. E Papa Leone si è immesso sulla stessa strada, sullo stesso cammino, con la forza delle parole evangeliche: pace, amore, unità, umiltà, povertà.

Rosalia per prima ha ascoltato la parola di Abacuc. Anche lei ha cercato la vita dove la vita si trova: nell’interiorità e nell’amore. Per questo noi ti diciamo grazie, nostra carissima Rosalia. Tu lo sapevi: hai rinunciato al legno morto, alle pietre rivestite di oro e argento perché cercavi la vera vita. Ti sei ritirata in una grotta con il cuore caldo di amore per il Cristo. E ora ci inviti ad entrare nella grotta del nostro cuore. Senza interiorità, senza coscienza, non c’è umanità. Chi è l’uomo se non ascolta l’uomo interiore, se non ascolta il proprio cuore? Chi è l’uomo se non guarda il fratello che gli sta davanti? Tu ci dici: “Se non ti prendi cura del tuo intimo, chi lo farà per te? E se ti prendi cura solo di te stesso che senso ha la vita?”

Certo, Rosalia carissima, tu lo sai: c’è ancora la peste. È la peste che abbiamo evocato, quella della guerra e del disagio, ma è anzitutto la peste dell’indifferenza, della rassegnazione, dell’irresponsabilità. Stasera tu ci chiami a levarci per costruire assieme il nuovo. A non cercare la scorciatoia dell’interesse personale, del favore. A non fregarcene del destino e del dolore dell’altro. A non giraci dall’altra parte se la notte avanza. Sei tu a ripeterci con Abacuc che solo il soffio vitale conta, che le energie della novità sono dentro di noi.

Vogliamo che i lavoratori siano garantiti e protetti, che le donne siano rispettate, che i bambini siano al centro delle nostre scelte, che il benessere sia condiviso, le strade e le piazze vissute. Ma dobbiamo cominciare da noi! Lamentarsi è inutile. Si tratta di una chiamata alla responsabilità che ci riguarda tutti. Una per una. Uno per uno. Cambiamo il nostro sguardo, ascoltiamo il nostro cuore. Nelle scelte quotidiane, nelle sfide di ogni giorno. Crediamo nella forza che ci è stata data.

Vedete. Lo Spirito non è un’esclusiva dei cristiani. Soffia dove vuole e quando vuole. Dio non è una proprietà o una bandiera della Chiesa, delle religioni. Perché l’Evangelista Giovanni ci ha spiegato – ed è questa parola che ha animato la vita di Rosalia – che dove qualcuno vive l’amore, Dio è presente, che chi ama ha conosciuto e conosce Dio (cfr 1Gv 4,7-8); chi lotta per la giustizia e contro la povertà è collaboratore di Dio: al di là di ogni barriera, di ogni confine. Dio è una possibilità sempre aperta, un orizzonte sempre schiuso. E dove ascoltiamo la chiamata all’amore – è questa in definitiva la “coscienza” –, dove ascoltiamo questa voce che ci abita dentro, dove il soffio vitale ci attraversa e ci guida, lì c’è Dio. Lì noi facciamo esperienza di Dio. Dio dentro di noi. Dio nella nostra vita.

Ciò deve accadere nell’esistenza di ognuno di noi e deve accadere a noi come Città. Dobbiamo porre le condizioni per ricominciare a sentirci comunità, coesa e corresponsabile, che si prende cura. È stata questa la lezione di Don Pino Puglisi: «Se ognuno fa qualcosa possiamo fare tanto». Se non la diamo vinta ai terrori della notte, se crediamo nell’alba, è possibile una Palermo nuova. Una Palermo in cui venga svelato l’inganno idolatrico della droga e dell’alcol. È Come se l’ingannatore dicesse ai nostri giovani: “La felicità, la serenità, il miglioramento degli stati di coscienza non sono in vostro potere. Solo la ‘roba’ può darveli, la dose, il fumo”. Lancio il mio appello, levo il mio grido rivolgendomi a tutti i giovani di Palermo: amatissimi, amatissime, vi stanno prendendo in giro! Vogliono togliervi la consapevolezza che siete voi ad avere dentro questa forza. L’energia è dentro di voi, la bellezza della vita vi risiede nel cuore! Non avete bisogno di scorciatoie, di alienazioni. Non avete bisogno di aiuti chimici di fronte al dolore, all’angoscia della vita. Così vi fate schiavizzare dalla roba che in fondo vi propina la mafia. Vi asservite ad essa, la rinvigorite. Ma la mafia con la sua stupidità organizzata – ogni delirio di onnipotenza è stupidità – crea solo oppressione e morte. E se illude alcuni – addirittura famiglie intere – di essere l’unica ‘impresa’ che offre lavoro, di contro, distrugge le nostre case, i nostri affetti, i nostri figli, le nostre relazioni. Una grande poetessa contemporanea, che si chiamava Wislawa Szymborska, lo dice chiaramente in una delle sue poesie più toccanti, in cui dà voce alle tante sostanze chimiche che vorrebbero toglierci la responsabilità e la grandezza dell’avventura della vita. È lei, la sostanza, a parlare in questi versi, come il diavolo, come il tentatore del nostro tempo: «So come trattare l’infelicità, come sopportare una cattiva notizia, ridurre l’ingiustizia, rischiarare l’assenza di Dio, scegliere un bel cappellino da lutto. Che cosa aspetti – fidati della pietà chimica. Sei un uomo (una donna) ancora giovane, dovresti sistemarti in qualche modo. Chi ha detto che la vita va vissuta con coraggio? Consegnami il tuo abisso, lo imbottirò di sonno».

Svegliatevi, miei carissimi giovani! Svegliamoci, fratelli e sorelle di Palermo! La vita è dura, a volte impietosa. La fatica è tanta, a volte insostenibile. Ma abbiamo la vitalità – quella che i Tedeschi chiamano Lebensfreude [libenfroide], ‘gioia di vivere’, quella che Abacuc chiama «soffio vitale» – [abbiamo la vitalità] per farci carico della nostra esistenza. E per farlo assieme. Per sognare assieme. Sognare, con il pastore Martin Luther King, un mondo senza guerra e senza sopraffazione; un mondo senza armi e dove non valga la legge del più forte; un mondo in cui i poveri siano innalzati e i potenti, i narcisi, vengano buttati giù dai loro troni; un mondo dove i popoli del Sud povero trovino pace e benessere; un mondo dove il colore della pelle sia come un arcobaleno e i migranti vengano accolti con calore, come persone umane, come fratelli; un mondo in cui le nostre Città, la nostra Città sia seme di bellezza; una Palermo dove la mafia non ci sia più, annientata non dalla forza militare ma bensì dalla scoperta della sua inconsistenza, della sua nullità, della sua infelicità. Ecco, una Palermo, nella quale il fuoco e la luce della speranza si accenda e contagi. Quella gioia e quella speranza che i Palermitani nel 1624-1625 sperimentarono e gustarono per la protezione della nostra Santuzza. Un mondo, in cui possiamo alzarci a respirare, a passeggiare e a godere della vita, ascoltando e accogliendo la parola che viene da lontano e che ci invita: «Vieni Palermo, camminiamo nella luce del Signore!».

Chiediamolo insieme, per intercessione di Rosalia e di Maria, nostra Madre che scioglie i nodi della vita e ci porta al senso di tutto, al Cristo suo figlio, che è promessa e certezza della vita piena che desideriamo.

Chiediamolo con le parole dell’Inno Rosalia di Rosa e di Giglio composto dal nostro Don Cosimo Scordato: «Palermo senti cumannu divinu: “Cuntagia vita, amuri e pietati”». Viva Palermo e Santa Rosalia!