…sopra tutte queste cose rivestitevi di amore (Col 3,14)
Fratelli amatissimi nel ministero ordinato,
scrivo a voi, presbiteri diocesani e religiosi, a voi diaconi, e a quanti vi state preparando al ministero presbiterale e diaconale nella Chiesa di Palermo. Sento forte la necessità di scrivervi, a dieci anni dall’inizio del mio servizio episcopale, per dirvi semplicemente la mia gratitudine, il mio affetto, il mio desiderio di camminare insieme. Ecco, voglio dire a ognuno di voi il sentimento di gratitudine che mi abita e che mi porta ad aprirvi il cuore. Grazie infinite!
Sono tra voi perché Colui che «chiamò a sé quelli che egli volle» (Mc 3,13) mi ha guardato senza tener conto della mia fragilità e della mia debolezza. Ed è anzitutto questo che condivido con voi: la mia e la nostra condizione di chiamati. Il che vuol dire condividere la fatica e la stanchezza lungo la strada, insieme allo stupore quotidiano di essere stati scelti, chiamati e inviati per consentire alla voce del Padre di risuonare in mezzo a noi, per far sì che la comunità dei credenti, anche in questo scorcio di tempo, sia ‘corpo messianico’, l’unico Corpo di Cristo, l’Unto-Inviato di Dio, «Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra. […] Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre» (Ap 1,5-6); il Veniente, che «apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione col peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza» (Eb 9,28).
Miei cari fratelli presbiteri e diaconi, è da questa condivisione che nasce la nostra comunione, il nostro essere presbiterio e diaconio animato da fraterna comunione. Siamo fratelli perché siamo sulla stessa barca. È in questa fraternità che si gioca la nostra vita.
Lo sperimentiamo ogni giorno: è bello e impegnativo tessere fili di condivisione nel comune servizio. Siamo chiamati a riconoscere e a custodire il Corpo di Cristo morto e risorto, nostro tutto e nostro amore: il Corpo eucaristico, che nello Spirito continuamente crea e rigenera la comunione ecclesiale; il Corpo ecclesiale, il popolo di Dio a cui apparteniamo e che serviamo nel ministero ordinato; il Corpo Parola, che insieme all’Eucaristia sostenta i cristiani; il Corpo dei poveri, dove lui si rende presente e pro-voca i discepoli e le discepole di ogni tempo e di ogni angolo della Terra, come ci ha confermato Lumen gentium 8,3. Lo sappiamo: questo richiede un dono pieno e una fatica grande da parte di ognuno di noi. Lavorare nella stessa vigna essendo diversi – per esperienze, per storie personali, per formazione, per visione teologica, per struttura antropologica, per stile pastorale – è, a tratti, la nostra Via Crucis. È la sfida di Gesù: prendere ogni giorno la propria croce diventando cirenei della croce dell’altro che incontriamo sulla strada.
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Miei amatissimi, così come il Signore, anche il vescovo deve chiamare, deve scegliere per compiti, missione, servizi. Deve esortare, indicare, ammonire, pazientare, intervenire. E queste scelte chiedono il travaglio del discernimento, creano comprensibilmente disagi, difficoltà, reazioni. Mi dispiace. È inevitabile, me ne rammarico. In tutta sincerità, quanti di voi hanno pensato che avrebbero fatto diversamente da me, meglio di me! E sono pensieri legittimi. Ma la concretezza della sequela si incarna, per me e per noi, nell’accettare i pastori che il Signore ci ha scelto. Da Mamiliano a Corrado.
Colgo l’occasione per invocare insieme a voi, su di me, su di noi, la benedizione del Signore per il servizio pastorale che abbiamo compiuto. E in particolare – lasciatemelo dire – per i sacrifici che avete fatto e fate, per il dono di voi stessi effuso, spesso senza essere visti da nessuno, neanche da me. Credetemi, lo so: ognuno di voi potrebbe raccontare in quale occasione non è stato visto dal vescovo, dai confratelli, dal popolo di Dio. Come vorremmo tutti essere visti nell’intimo! Essere visti là dove abbiamo consegnato la nostra vita e il nostro lavoro al Signore e alla Chiesa! Posso dirvi solo che sento il vostro bisogno, il vostro disagio, e che vi sono accanto. Cerchiamo insieme i modi per portare a pienezza i germi già sbocciati della nostra condivisione, forieri di novità e di futuro.
Ci vuole uno spazio, ci vuole un tempo in cui da presbiteri e diaconi possiamo non sentirci soli ma cercati, ascoltati, compresi, sostenuti. Per respirare l’appartenenza al presbiterio e al diaconio, essere «una cosa sola» (Gv 17,21), nel flusso a volte monotono dei giorni o nella fatica del ministero, sempre più esigente nel complesso travaglio di questo cambiamento d’epoca. Non dobbiamo e non possiamo arrenderci alla solitudine, alla mormorazione o al chiacchiericcio, ai giudizi sommari, al lievito vecchio che sparge pessimismo e conduce all’isolamento esistenziale e pastorale, allo scoraggiamento, alla perdita dell’«amore di prima» (Ap 2,4).
Mi impegnerò, io per primo, a costruire le occasioni di una vita presbiterale, comune, condivisa e fraterna, in cui aprire il cuore, dire i sentimenti, confessare le esitazioni, comunicare il disagio; dove sostenersi, confrontarsi e confortarsi gli uni gli altri.
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Vi dico un ennesimo grazie per l’accoglienza che ho ricevuto. Rivolgo un pensiero particolarmente grato a tutti coloro che, dall’inizio ovvero lungo questi dieci anni, non hanno, non avete condiviso la scelta del Santo Padre sulla mia persona, non hanno e non avete fatto vostre le scelte che man mano ho maturato e proposto, non senza il confronto costante e schietto con gli organismi di corresponsabilità sinodale. Ecco, voi avete portato e portate il peso più grande della comunione. Lavorare con una guida non condivisa è un fardello pesante. Vi apprezzo, e so che il vostro sacrificio, il vostro impegno è scritto nei cieli. Non stancatevi nell’essere artigiani di concordia, come Ignazio di Antiochia esorta nella lettera Alla Chiesa di Magnesia: «Tutti avendo una eguale condotta rispettatevi l’un l’altro. Nessuno guardi il prossimo secondo la carne, ma in Gesù Cristo amatevi sempre a vicenda. Nulla sia tra voi che vi possa dividere, ma unitevi al vescovo e ai capi nel segno e nella dimostrazione della incorruttibilità». È comunque indubbio il bene che mi avete fatto: «Solo quando qualcuno ci osteggia e ci critica possiamo accedere alla conoscenza di noi stessi e possiamo giudicare la qualità del nostro amore» (Dalai Lama).
Voglio poi dire a tutti, senza eccezione, che siete nel mio cuore. Anche nei momenti in cui un po’ per carattere, un po’ per spingervi a una crescita, nei nostri rapporti sono risultato aspro, duro, poco comprensivo. Ma credetemi: ciò è accaduto sempre a partire dal desiderio profondo da parte mia di cercare il meglio per voi e per la nostra comunità ecclesiale e civile. Null’altro. Posso solo chiedervi di ritrovare e di rinnovare insieme a me la speranza e la passione per una missione che ci colloca nel costato aperto di Cristo e nel cuore ferito di ogni uomo.
Abbiamo donato la nostra vita al Signore, alla Chiesa e alla Comunità religiosa di appartenenza. Sia questo il nostro conforto. Come sarà il domani che ci aspetta lo sa Dio. Non possiamo progettarlo noi. Dobbiamo solo conservare e rinnovare nel cuore la passione per il Signore, per la missione e la comunione fraterna. E lo Spirito, che ci indica il cammino (cfr Gv 16,13-14), ci guiderà nel reciproco ascolto: voi di me, io di voi. Maria, che conforta, consola e sostiene e plasma la nostra volontà, intelligenza e affettività, come ogni madre che cerca di ricomporre le differenze dei figli a cui ha donato la vita, sia la madre della fraternità presbiterale e diaconale della nostra Chiesa.
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Ringraziamo, infine, il Signore per aver dato alla Chiesa di Palermo presbiteri e diaconi santi, quelli di ieri e quelli di oggi. Mi piace ricordare con grande affetto i confratelli che hanno lasciato questa terra e anche quelli che per motivi diversi hanno lasciato il ministero. Il frutto del loro servizio non è misurabile. Ciò che vediamo all’esterno è una pallida immagine di ciò che il Signore ha generato nel cuore e ha realizzato di fatto in loro e attraverso di loro.
E come non fare memoria del nostro carissimo don Pino Puglisi, che molti di noi hanno avuto la gioia e il dono di conoscere e di collaborare? Il sangue del suo martirio sia germe di nuove vocazioni – tutte! – e di santità di vita e di fecondità ministeriale.
In comunione di reciproco rispetto, accoglienza, stima e riconciliazione vi guardo negli occhi, uno per uno, per ritrovare negli sguardi il nostro cammino e il nostro futuro, che ci giunge attraverso le parole di Gesù: «Non siete voi che avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto ciò che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda» (Gv 15,16).
Credo che il senso profondo di quanto ci siamo detti, il gesto ultimo che esprime l’essenza stessa di Dio per noi, la nostra relazione fraterna, il nostro essere per gli altri, sia contenuto in una antica storia chassidica – riportata da Martin Buber ne I racconti dei Hassidim: «Il padre di Mardocheo – il futuro celebre rabbi di Lechowitz – si lamentava della pigrizia del figlio nello studio. In città giunse un santo rabbino. Il padre gli condusse Mardocheo perché lo correggesse. Il rabbino, rimasto solo col ragazzo, lo strinse al cuore e se lo tenne a lungo affettuosamente vicino. Quando il padre ritornò, il rabbino gli disse: “Ho fatto a Mardocheo un po’ di morale; d’ora in poi la costanza non gli mancherà”. Quando, ormai adulto e famoso, Mardocheo raccontava questo episodio, diceva: “Ho imparato allora come si convertono gli uomini”».
Strada della conversione, strada della fraternità. Chiamati e inviati, viviamo ogni giorno con umiltà e con passione per la comunione umana, discepolare e presbiterale nella quale siamo collocati e che dobbiamo portare a compimento. Così porteremo frutto, e frutto abbondante (cfr Gv 15,8). Papa Francesco, nella Lettera inviataci per il trentesimo anniversario dell’uccisione del Beato Martire don Pino Puglisi, ci esortava: «Vivete concordemente in Cristo, prima di tutto all’interno del presbiterio, assieme al Vescovo e tra Voi, e “gareggiate nello stimarvi a vicenda” (cfr Rm 12,10)».
Posso assicurarvi – concludendo – che sento una santa gelosia per voi, e che particolarmente, come vostro padre e fratello, desidero il massimo di bene per ciascuno di voi: quello della vostra santità di vita nel dono gioioso di voi stessi a quanti la grazia ha affidato alle vostre cure. Perché singolarmente e insieme possiamo avere la gioia e la consolazione di una mietitura abbondante e di una pesca traboccante. Di contribuire ad alleviare le rughe della Madre Chiesa così da renderla attraente per tanti altri, «una Chiesa – secondo il desiderio di Leone XIV – unita, segno di unità e di comunione, che diventi fermento per un mondo riconciliato» (Omelia per l’inizio del ministero petrino, 11.5.2025).
Tutti abbraccio dalla Casa di Maria, dal nostro Santuario Diocesano di Altavilla Milicia, nel giorno della festa della Beata Natività di Maria.
8 settembre 2025 + Corrado, Arcivescovo